La relazione educativa come strumento per conferire senso al dolore

articolo giovi

Il dolore non chiede il permesso per entrare nelle vite delle persone. È nel modo in cui lo si affronta, dal senso che ad esso si conferisce che possiamo accrescere la nostra apertura alla vita o vivere nella totale chiusura.

La vita è piena di dolore: le guerre, le disabilità, le ferire relazionali, la morte di un amico o di un coniuge, problemi lavorativi e tanto altro.

È necessario però andare oltre il dolore, cercare uno spiraglio di luce in fondo al tunnel per vedere, come disse Vang Gogh, più intensamente.

È proprio in questo sforzo che può inserirsi l'azione quotidiana dell'educatore che lavora nelle comunità educative. Egli infatti può accompagnare il singolo se non proprio a vedere più intensamente, almeno ad imparare ad accogliere il dolore e non arrendersi ad esso.

Se sia necessario il dolore, non si sa, esso c'è e con esso ci si deve confrontare per poi decidere se vivere una vita nella possibilità e nell'ottimismo oppure nel pessimismo.

Non sempre si riesce a dare un senso al dolore, elaborarne un concetto, una teoria concreta che esprima il significato che si attribuisce ad esso; già possedere l'intenzione di voler accogliere e non eliminare la sofferenza ci permette di parlare di fede e di speranza.

Esso, se accolto, può dare inizio al processo di umanizzazione e di evoluzione dell'essere proprio passando attraverso la sofferenza.

Una persona che ha saputo creare una propria dimensione del dolore è stata senz'altro Vincent Van Gogh il quale, attraverso la profondità del suo lavoro, ha cercato di reagire alle difficoltà e perfezionare se stesso nonostante tutto.

Vincent Van Gogh infatti già nella sua prima giovinezza ha incontrato moltissimi fallimenti lavorativi, ma anche relazionali; il bisogno di solitudine si contrapponeva al bisogno d'amore, non riuscendo a trovare la sua strada la sua realizzazione tanto che in alcune occasioni non riuscirà nemmeno a provvedere alla sua sussistenza materiale, alla quale provvederà invece il fratello Theo, con il quale ebbe sempre un legame molto profondo. Talvolta la sua situazione finì per minarne il fisico e lo stato psichico tanto che nel dicembre del 1888 fu vittima di una psicosi acuta. La sua vita fatta di eccessi può essere letta come un modo per non sfuggire al dolore.

Tuttavia durante gli intervalli tra gli attacchi più violenti e quelli più lievi, Van Gogh ha la forza di aprirsi al dolore e accoglierlo come opportunità per sviluppare la propria umanità, tanto da scrivere “dopo la mia malattia mi è rimasto un occhio naturalmente molto, molto sensibile”.  […] “Invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario per esprimermi con intensità... esagero con il biondo dei capelli, arrivando al tono arancione, al giallo cromo, al limone pallido. Invece di dipingere il muro banale del misero appartamento, dipingerò l'infinito...”.

Se per Vang Gogh la pittura è stata lo strumento per educare se stesso e per mettere ordine nel suo mondo interiore così l'azione educativa del professionista deve guardare a quella disperazione come punto di possibile partenza e crescita personale.

Il dolore quindi non sembra avere catturato Vincent nella morsa della disumanizzazione ma, al contrario, ha incrementato in lui il processo di umanizzazione: malgrado tutto il dolore, l'umanità di Vang Gogh ne prenderà consistenza sviluppando un altissimo pensiero etico e un'espressione di sincerità assoluta.

L' artista dichiara parlando con un suo professore di teologia “...cosa voglio?: riconciliare gli uomini con il loro destino terreno” in quanto la sofferenza non può essere eliminata ma solo accolta.

Nella corrispondenza epistolare che Vang Gogh tiene con il fratello si evidenzia nella sua vita interiore una tensione continua per essere un pittore, un vero cristiano, una persona sincera, semplice e stabile; egli dimostra quindi di avere un rapporto con la vita di ottimismo e di ricerca di senso, desiderando di diventare una persona migliore.

Il pittore sembra suggerirci che dobbiamo trovare durante la nostra breve vita qualcosa che ci catturi internamente e interamente e che ci porti a rivolgere lo sguardo dentro di noi, in profondità, per rafforzare le nostre convinzioni relative alla vita, alla fede e al nostro destino.

L'esperienza del dolore, se accolto, può trasformarsi in conoscenza.

“ Una volta che si sia estesa la conoscenza, l'intenzione diventa autentica; una volta che l'intenzione sia autentica, il cuore diventa diritto. È rendendo diritto il proprio cuore che si perfeziona se stessi. È perfezionando se stessi che si riordina la propria casa, è riordinando la propria casa che si riordina il proprio paese, e da quando i paesi sono in ordine che la Grande Pace si realizza in tutto l'universo ”.

Se è vero che dal dolore si può trarre conoscenza, è pur vero che è necessario possedere gli strumenti giusti per poterlo trasformare in esperienza. Se privi di questi strumenti il dolore, molto probabilmente non ci sarà utile per evolvere; al contrario sarà causa di una vita priva di sviluppo di sé.

Ecco quindi che l'educatore deve diventare esso stesso strumento attraverso il proprio modo di vivere e il proprio esempio, senza arroccarsi all'interno di un ruolo professionale non realmente sentito.

Quali porte apre allora il dolore? In Vang Gongh ha aperto le porte dell'infinito e del colore della vita più intenso.  Il pittore ha acquisito maggiore sensibilità e dolcezza grazie ad esso. Ciò che è infatti essenziale capire è che al dolore prima di tutto bisogna dare un posto speciale dentro di noi; negarlo o dimenticarlo porterebbe ad una perdita di consapevolezza, ad indurirci e a renderci persone meno sensibili.

Così scriveva Etty Hillesum riguardo all'argomento: “ (…) La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé, con tutto il suo dolore e con tutte le sue difficoltà, e intanto che la si sopporta, la nostra pazienza aumenta. Ma l'idea del dolore - non il dolore “vero”, che è fruttuoso e può render la vita preziosa - , quella va distrutta. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita e la vera forza che sono in noi, allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell'umanità”.

 

Giovanna Bernardi - Educatrice Comunità Eldorado

[1]In “I quattro maestri” di Vito Mancuso,Garzanti2020, p. 303. La grande scienza (Daxue) nella versione di Amina Crisma tratta da Cheng, Storia del pensiero cinese.